Ottavo giorno: Dobato Meadow (3600 m) - Yangle Kharka (3600 m)
Dislivello: + 525 m - 630 m
Ore: 4.30
Il giorno ci porta ancora una volta un cielo completamente coperto, di un grigio uniforme. Ci verranno ancora impediti i panorami. Uno squarcio tra le nubi rivela un massiccio che incombe da molto lontano, tutto roccia e ghiaccio, altissimo sulle nostre teste. Il Chamlang? Chissà ...
Una discesa ripidissima di seicento metri, tra rododendri e abeti bianchi fittissimi, ci porta sulla riva orografica destra del Barun Khola, il fiume che nasce dall'omonimo ghiacciaio ai piedi del Makalu. A dire il vero, parlare di sentiero è assai improprio. In realtà scendiamo saltellando lungo il letto di un bizzoso torrente fra ampie pozze d'acqua, tronchi di alberi sradicati e resi marci dal tempo, facendo bene attenzione a dove mettere i piedi. Le pietre, ricoperte di muschio, sono viscide e fangose. L'equilibrio è davvero precario... Il mio ginocchio sinistro lo sento un po' debole, anche se non mi fa male alcuno. Una volta raggiunto il Barun che spumeggia e corre con un rombo assordante verso valle per gettarsi nel fiume Arun, tutti crediamo di trovare il ponte che permette di passare dall'altra parte. Non è così. Inizia una lunghissima traccia, fra sfasciumi di ogni dimensione, il risultato di continue e pericolose frane di terra e roccia provenienti dai ripidi fianchi della valle. Ci troviamo su un terreno morenico che le vorticose acque del Barun contribuiscono non poco a sconvolgere e travolgere. Meglio affrettare il passo e cercare di uscire al più presto. Tratti completamente scoperti, senza traccia alcuna di vegetazione, si alternano a improvvise e scoscese macchie di lussureggiante foresta, dove per la progressione è opportuno appigliarsi ai rami degli alberi. Continuiamo a risalire lentamente la interminabile valle sempre accompagnati dall'assordante frastuono delle sue acque tumultuose. Con l'innalzarsi della quota il paesaggio cambia e ci vede procedere per prati sempre più vasti con più ampi orizzonti ... Yangle Kharka arriva all'improvviso. Kharka significa alpeggio: è una vasta zona pianeggiante dove il fiume si disperde in vari rami rallentando la sua furiosa corsa. È terra di pascolo in piena estate. Tutto intorno, alte pareti granitiche di colore scuro delimitano l'intera area che verso nord si apre con una sottile striscia di gigantesche conifere. Davanti a noi si alza nel cielo, non più così plumbeo come di primo mattino, un esile filo di fumo azzurro che sale da una bassa e spartana costruzione in pietra. Dove c'è fumo c'è vita. Calore. Gente. Mi affretto a superare due ponti di tronchi gettati sulle gelide acque del Barun, mentre qualche portatore preferisce immergersi e passare a guado.
Il nostro cuoco provvede subito al pranzo e gli sherpa preparano il campo a pochi passi dalla baita sul limitare di maestosi alberi.
( da "Ho visto le montagne toccare il cielo" )
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Scendiamo saltellando tra ampie pozze d'acqua, tronchi di alberi sradicati e resi marci dal tempo, facendo bene attenzione a dove mettere i piedi. |
Una piccola radura nell'intrico indescrivibile di alberi ed arbusti ci permette di riprendere il fiato. |
Yangle Kharka arriva all'improvviso. Kharka significa alpeggio: è una vasta zona pianeggiante dove il fiume si disperde in vari rami rallentando la sua furiosa corsa. |
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