domenica 20 marzo 2011

Tumlingtar - Makalu CB: ottavo giorno

Ottavo giorno: Dobato Meadow (3600 m) - Yangle Kharka (3600 m)
Dislivello: + 525 m - 630 m
Ore: 4.30

Il giorno ci porta ancora una volta un cielo completamente coperto, di un grigio uniforme. Ci verranno ancora impediti i panorami. Uno squarcio tra le nubi rivela un massiccio che incombe da molto lontano, tutto roccia e ghiaccio, altissimo sulle nostre teste. Il Chamlang? Chissà ...
Una discesa ripidissima di seicento metri, tra rododendri e abeti bianchi fittissimi, ci porta sulla riva orografica destra del Barun Khola, il fiume che nasce dall'omonimo ghiacciaio ai piedi del Makalu. A dire il vero, parlare di sentiero è assai improprio. In realtà scendiamo saltellando lungo il letto di un bizzoso torrente fra ampie pozze d'acqua, tronchi di alberi sradicati e resi marci dal tempo, facendo bene attenzione a dove mettere i piedi. Le pietre, ricoperte di muschio, sono viscide e fangose. L'equilibrio è davvero precario... Il mio ginocchio sinistro lo sento un po' debole, anche se non mi fa male alcuno. Una volta raggiunto il Barun che spumeggia e corre con un rombo assordante verso valle per gettarsi nel fiume Arun, tutti crediamo di trovare il ponte che permette di passare dall'altra parte. Non è così. Inizia una lunghissima traccia, fra sfasciumi di ogni dimensione, il risultato di continue e pericolose frane di terra e roccia provenienti dai ripidi fianchi della valle. Ci troviamo su un terreno morenico che le vorticose acque del Barun contribuiscono non poco a sconvolgere e travolgere. Meglio affrettare il passo e cercare di uscire al più presto. Tratti completamente scoperti, senza traccia alcuna di vegetazione, si alternano a improvvise e scoscese macchie di lussureggiante foresta, dove per la progressione è opportuno appigliarsi ai rami degli alberi. Continuiamo a risalire lentamente la interminabile valle sempre accompagnati dall'assordante frastuono delle sue acque tumultuose. Con l'innalzarsi della quota il paesaggio cambia e ci vede procedere per prati sempre più vasti con più ampi orizzonti ... Yangle Kharka arriva all'improvviso. Kharka significa alpeggio: è una vasta zona pianeggiante dove il fiume si disperde in vari rami rallentando la sua furiosa corsa. È terra di pascolo in piena estate. Tutto intorno, alte pareti granitiche di colore scuro delimitano l'intera area che verso nord si apre con una sottile striscia di gigantesche conifere. Davanti a noi si alza nel cielo, non più così plumbeo come di primo mattino, un esile filo di fumo azzurro che sale da una bassa e spartana costruzione in pietra. Dove c'è fumo c'è vita. Calore. Gente. Mi affretto a superare due ponti di tronchi gettati sulle gelide acque del Barun, mentre qualche portatore preferisce immergersi e passare a guado.
Il nostro cuoco provvede subito al pranzo e gli sherpa preparano il campo a pochi passi dalla baita sul limitare di maestosi alberi.
( da "Ho visto le montagne toccare il cielo" )
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http://ilmiolibro.kataweb.it/schedalibro.asp?id=573200

Una discesa ripidissima di seicento metri, tra rododendri e abeti bianchi fittissimi, ci porta sulla riva orografica destra del Barun Khola, il fiume che nasce dall'omonimo ghiacciaio ai piedi del Makalu.

Scendiamo saltellando tra ampie pozze d'acqua, tronchi di alberi sradicati e resi marci dal tempo, facendo bene attenzione a dove mettere i piedi.

Una piccola radura nell'intrico indescrivibile di alberi ed arbusti ci permette di riprendere il fiato.

Il Barun Khola spumeggia e corre con un rombo assordante verso valle per gettarsi nel fiume Arun. Per noi inizia una lunghissima traccia, tra sfasciumi di ogni dimensione. Dobbiamo affrettare il passo ed uscirne al più presto. Grande è il pericolo di frane di terra e sassi.
Yangle Kharka arriva all'improvviso. Kharka significa alpeggio: è una vasta zona pianeggiante dove il fiume si disperde in vari rami rallentando la sua furiosa corsa.

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